APPUNTI DISORDINATI A STELLE E STRISCE DI UNA DONNA TRICOLORE NEL SUO VIAGGIO DI UNA VITA







domenica 2 ottobre 2011

Eh no il cappuccio tiepido proprio no!

Mi è venuta voglia di vestirmi da sexy-infermiera. Di murare in casa le racchie. Di tatuarmi sul piede le iniziali «S.B: tvtttb». Di rotolarmi nel letto di Putin. Insomma, di far girare la patonza.  E se Anna Wintour rilascia un’altra intervista in cui bacchetta i costumi  di questa Italietta volgare e viziosa, giuro che attuo i miei propositi con una tale solerzia che al confronto Terry De Nicolò sembrerà un prelato dell’Opus Dei. Io non sono particolarmente selettiva in fatto di pulpiti. Ho accettato le filippiche della Carfagna sulla dignità femminile. Ho digerito  le elucubrazioni del Trota sulle responsabilità delle nuove generazioni. Sarei perfino disposta a tollerare il duro j’accuse di Fabrizio Corona contro i truzzi da tatuaggio compulsivo, ma la predica da Anna Wintour non me la faccio fare. 

Voglio dire, durante la settimana della moda è già abbastanza urticante la visione di lei, seduta in prima fila a tutte le sfilate con l’aria perennemente schifata di quella che l’abito che sta sfilando, al massimo, lo utilizzerebbe come presina da forno. È già intollerabile sorbirsi la piaggeria degli stilisti che spostano le loro sfilate se in quell’orario la Wintour ha deciso che ha voglia di vedere «Spongebob» su Disney Channel. E diciamocelo, sarebbero già inaccettabili anche solo quel caschetto frigido e l’occhiale scuro di colei che siccome è la vestale della moda,  deve preservare da occhi indiscreti le grandi verità custodite, ovvero se il maculato reggerà un’altra stagione e se la gonna sopra il ginocchio è out. Ma la Wintour, questa volta è andata oltre. Tra una sfilata e una cena di gala, ha deciso che era ora di dire la sua anche sul degrado morale di questo paese, oltre che sulle giacche destrutturate. Ha dato un’intervista a Repubblica, che ovviamente pur di trovare uno che andasse contro Berlusconi ha trattato la perfida boss cui si ispira Il Diavolo veste Prada come Zagrebelsky. L’ha eretta a depositaria dell’etica per ricordarci che viviamo in una dittatura. E lei si è chiesta poi come possiamo tollerare Berlusconi e il suo giro di ragazze, invitando le donne italiane a scendere in piazza durante le sfilate per manifestare contro il malcostume. Parole sante. Se non fosse che io le ramanzine dal sapore bolscevico e femminista da una tizia che, potesse, riaprirebbe i gulag per spedirci in massa chi veste Oviesse e scioglierebbe nel grasso delle liposuzioni le donne sopra la 38, non me le faccio fare.  Anna Wintour parla di dittatura. Anna Wintour, ribadisco. Roba che se Hitler è stato Führer per undici anni, lei dirige Vogue America da ventitré e quando sente aria di colpo di stato minaccia di portarsi via fotografi, modelle e giornalisti e far diventare Vogue l’inserto settimanale di Cavalli e segugi.

La filo-marxista che schifa il totalitarismo e poi impala sulle stampelle della collezione Miu Miu la giovane assistente rea di averle portato il cappuccino tiepido. Si chiede come facciamo a tollerare Berlusconi e le sue ragazze, la bolscevica. E qui qualche volenteroso dovrebbe aspettare che metta un piede fuori dalla limousine che la scorazza per Milano e mostrarle una bella galleria fotografica che ritrae le ragazze. Quelle ragazze lì. Si accorgerebbe, la Wintour, che la Polanco, Nicole Minetti, Barbara Guerra e il resto della ciurma, passeggiano in via Montenapoleone con le stesse Birkin e Kelly che il suo Vogue piazza in copertina sottobraccio alla modella di turno. Perché quelle ragazze lì (e mica solo loro) sono anche il frutto del processo di rimbecillimento del finto riscatto sociale regalato dalla borsa da cinquemila euro. E quelle ragazze, a lavorare per 1.500 euro al mese non ci vanno, perché poi tra affitto e bollette la Birkin e la tetta nuova non ci scappano. Più facile battere cassa a papi.

Ci riflettesse, la signora Wintour. Poi c’è il predicozzo sul perché non scendiamo in piazza a protestare. A parte che la signora s’è persa il ciclone «Se non ora quando», ma la capiamo, sarà stata molto impegnata in riunioni sull’improvvisa latitanza dei toni del kaki nelle collezioni primavera estate. Proprio lei ci viene a fare il sermone femminista? Lei che accettò di mettere Oprah Winfrey in copertina solo a patto che perdesse 20 chili, lei che non vuole assistenti sopra la 40 accanto a sé, lei che utilizza solo modelle il cui peso specifico sia quello del cigno-origami? Cominciasse lei, a non mortificare la donna. Menzione speciale la merita il  giornalista che le ha domandato se le sfilate di moda possono essere una risposta al degrado delle olgettine. Certo. La moda come forza salvifica. Come lavatrice morale. La Birkin di Hermés che monda i peccati della D’Addario. La stampa animalier che redime le gemelle De Vivo. L’abito chiffon, la cintura di pitone, il tacco dodici che restituiscono sostanza a un paese smarrito nell’effimero. Ma per favore. E ora mi fermerei qui, o l’abito da sexy-infermiera lo compro davvero.

di Selvaggia Lucarelli

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